“Io Khaled vendo uomini e sono innocente” – trafficante di uomini, Francesca Mannocchi

Il romanzo “Io Khaled vendo uomini e sono innocente” è stato scritto da Francesca Mannocchi e pubblicato nel 2019. L’autrice collabora con numerose testate e televisioni italiane ed internazionali. Ha realizzato reportage da Iraq, Libia, Libano, Siria, Tunisia, Egitto, Afghanistan. Un importante inchiesta sul traffico dei migranti e sulle carceri libiche l’ha portata a vincere il Premio Giustolisi.

Khaled è un ragazzo libico di poco più di trent’anni. Il suo sogno era diventare ingegnere, invece, dopo aver partecipato alla rivoluzione per rovesciare Gheddafi, si ritrova invischiato nella tratta dei migranti. Il periodo post rivoluzione, che tutti vedevano libero e democratico, ha gettato la Libia nel caos più totale, dilaniata da rivolte interne. La gente si arrabatta come può per tirare avanti, uomini che chiedono l’elemosina lungo la strada e donne in fila per un pezzo di pane sono situazioni comuni.

Così, giorno dopo giorno, Khaled smista uomini, donne e bambini dai confini del Sud, li trasporta nei centri di detenzione, organizza traversate del Mediterraneo. Nelle carceri dove i migranti vengono imprigionati, non sono rari stupri, torture e violenze. Khaled assiste impassibile, qualche volta partecipa, ma per lui è solo un lavoro. I migranti chiedono di attraversare il Mediterraneo e lui offre un servizio, quasi come in un ufficio postale.

Il romanzo viene raccontato in prima persona da Khaled, che il lettore identifica inizialmente come un carnefice. La normalità con cui racconta il suo lavoro è spaventosa. Il trafficante è bravissimo a spersonificare la gente che trasporta, e cerca di rimanere insensibile ai lamenti dei bambini e delle donne.

Man mano che si prosegue con il romanzo però, diventa sempre più difficile considerare Khaled un mostro. Vendere uomini è tutto ciò che gli è rimasto. La libertà di cui tanto gli parlava il nonno è un’utopia impossibile da raggiungere in Libia, e lui, Khaled, deve mantenere la sua famiglia. Spesso a fine giornata, Khaled passa a trovare la madre, che non si è più ripresa dopo la morte di un figlio durante la rivoluzione. Cerca di non farle mancare niente e di farla vivere nel migliore dei modi, ben consapevole che l’unica cosa di cui avrebbe veramente bisogno la donna non tornerà più.

Di notte Khaled è tormentato dagli incubi. Rivede i volti della gente che trasporta, consapevole che per molti di loro il Mediterraneo è diventato o diventerà una tomba. “Tutti pensano a salvare sé stessi e nessuno salva nessun altro in mare, signor Khaled.” Questa è la voce di Fouzieh, una giovane donna che è annegata nel Mediterraneo. Era partita con il suo bambino, sperando in un futuro migliore. È proprio a questo che si aggrappa Khaled per non impazzire. Cerca di vedersi come una brava persona che aiuta i migranti ad andare verso il loro sogno di libertà. Il mare però spesso chiede un pedaggio, e così i sogni di molti di loro verranno inghiottiti dalle acque, così come la rivoluzione ha soffocato tutte le aspettative del giovane. Ecco che allora Khaled perde la sua aura da aguzzino e si trasforma in una persona normale, che odia la sua vita e il suo lavoro ma non può fare altrimenti.

Non c’è critica nei confronti di Khaled, l’autrice si limita a raccontare la sua storia. Le parole del giovane raccontano un mondo in cui i confini tra bene e male si assottigliano, tanto da non riuscire quasi a riconoscere da che parte ci si trova.

Mi chiamo Khaled, il mio nome significa immortale. Mi chiamo Khaled e sono un trafficante.
Nonno, sono tuo nipote, Khaled. E sono innocente.

Alla fine di questo romanzo, l’autore non può che provare pena per il protagonista. Khaled nella vita ha perso tutto, il lavoro di trafficante gli ruba gli ultimi brandelli di dignità che gli sono rimasti. Persino sua madre, quando capisce cosa fa suo figlio per portare a casa così tanti soldi, smette di parlargli. Al ragazzo non resta che pensare alla sua giovinezza, a quando ancora c’era Gheddafi al potere, ma lui viveva più sereno, pur non essendo libero.

Te la ricordi la nostra lingua magica? Nonno cos’è la libertà?
La libertà è una cosa da grandi. Ora che sono grande e tu non ci sei più, vago su queste spiagge di notte, tra gli arbusti secchi, guardo le lampare dei pescatori e ricordo per un momento che il mare è qualcos’altro, la luce che attira i pesci e le barche che si avvicinano, il cerchio si stringe intorno alla luce e finalmente i pescatori riempiono le reti.
Tutti cercano di muoversi verso la luce, nonno. Io no. Io resto qui, sul limite, sul confine. Sulla linea da oltrepassare. Rimango sul limite. Chi vuole attraversarlo verrà da me, che il prezzo lo pago restando.

Un romanzo crudo e crudele, che racconta uno dei più grandi drammi dei giorni nostri, invitando il lettore a riflettere sulle infinite sfumature che ci sono tra il bene e il male.

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