“Abbiamo sempre vissuto nel castello” – ordinaria follia, Shirley Jackson

Il romanzo “Abbiamo sempre vissuto nel castello” e’ stato pubblicato nel 1962, pochi anni dopo “L’incubo di Hill House”, scritto sempre dall’autrice Shirley Jackson. Come tutti i suoi romanzi, la Jackson racconta la storia su piani paralleli, indagando le pieghe piu’ profonde e insondabili dell’animo umano.

Mary Katherine, detta Merricat, e Constance Blackwood vivono in un’enorme villa alle porte di un villaggio assieme all’anziano zio Julian. Merricat si reca al villaggio due volte alla settimana, per fare la spesa. Constance e lo zio Julian non escono dalla casa da sei anni.

Andare al villaggio per Merricat e’ sempre motivo di agitazione. Gli abitanti sembrano astiosi nei suoi confronti, e non perdono occasione per prenderla in giro e farsi beffe di lei e della sua famiglia. Il loro comportamento appare ingiustificato nei confronti della ragazza, ma piano piano, tramite le parole incoerenti dello zio Julian, si inizia a far luce sul vero motivo dell’isolamento della famiglia Blackwood.

Sei anni prima, tutta la famiglia Blackwood era stata avvelenata con dell’arsenico messo nello zucchero. Le uniche persone a salvarsi erano state lo zio Julian, riportando pero’ dei gravi danni permanenti, Constance, che non aveva mai mangiato lo zucchero, e Merricat che quella sera era in camera sua in castigo. Inizialmente era stata incriminata Constance, poi pero’ le accuse contro di lei erano decadute, lasciandola libera. L’opinione pubblica, non contenta del verdetto, aveva pero’ bollato tutti i membri sopravvissuti della famiglia come folli omicidi, isolandoli completamente dalla vita sociale e obbligandoli a rinchiudersi nella loro casa di famiglia.

Da quel lontano giorno di sei anni fa, la vita per la famiglia Blackwood si ripete sempre uguale, fin quando una visita del cugino Charles rompe l’equilibrio. Con la scusa di aiutare le sorelle, Charles cerca in tutti i modi di mettere le mani sull’eredita’ della famiglia, cercando di convincere Constance ad allontanare la sorella e lo zio. Merricat, sempre scontrosa e diffidente con gli estranei, e sconvolta all’idea che la sua vita possa cambiare, una sera lascia cadere la pipa del cugino incendiando la casa.

Ancora una volta ignorate dalla gente del villaggio, le due sorelle torneranno a vivere nella casa semi distrutta dal fuoco, continuando la loro solita vita senza lo zio Julian, morto nell’incendio.

“Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.”

Il romanzo “Abbiamo sempre vissuto nel castello” si apre cosi’, svelando che la voce narrante per tutta la vicenda sara’ Merricat. Una voce narrante del tutto inaffidabile, che ha una visione del mondo distorta. Lo capiamo fin dalle prime battute, quando Merricat, in fila dal droghiere per pagare la spesa, lancia terribili malefici contro le altre persone che si stanno prendendo gioco di lei.

Le stranezze continuano quando, attraverso le parole di Merricat, conosciamo sua sorella Constance, e il legame morboso che c’e’ tra le due ragazze. Da sei anni Constance vive dentro la casa di famiglia, occupandosi dello zio invalido e cucinando per tutti e tre. I discorsi tra i membri di casa Blackwood sono conversazioni esasperanti. Merricat ha bisogno di essere costantemente rassicurata dalla sorella, che non verra’ mai lasciata sola.

Piu’ che un castello, casa Blackwood sembra un manicomio, in cui il personaggio ad essere ritenuto pazzo, zio Julian, si rivela essere l’unico a cui e’ rimasto un briciolo di ragione.

Casa Blackwood, cosi’ come nel romanzo “L’incubo di Hill House”, non e’ solo un luogo fisico, ma rappresenta le barriere mentali dei suoi abitanti. I muri della casa simboleggiano la clausura in cui Constance, per proteggere la sorella, si e’ rinchiusa, trascinando Merricat e zio Julian con se’. Constance e’ l’unica a ricordare quella terribile notte di sei anni fa, in cui tutta la famiglia Blackwood e’ stata crudelmente avvelenata. Spesso, nel corso della narrazione, Constance ripete che e’ stata tutta colpa sua, inducendo inizialmente il lettore a credere che sia stata lei ad avvelenare tutti. Poi, quasi per caso, in un dialogo tra lei e la sorella viene fatto un accenno a quello che ha fatto Merricat. Ma la faccenda viene subito archiviata, non parlandone piu’.

A questo punto iniziamo a capire che e’ stata Merricat l’artefice di tutto, ma la sua follia e’ tale da aver rimosso quanto accaduto, e di essere retrocessa all’eta’ mentale di una bambina. Complice la sorella, Merricat vive in una bolla di vetro, in cui tutto e’ routinario e ripetitivo, e le infonde sicurezza.

E’ per questo che quando nella storia compare il cugina Charles, qualcosa dentro la testa di Merricat si incrina. Impaurita che tutto possa cambiare, Merricat perde la ragione, e incendia accidentalmente (o forse no?) la sua casa, nel disperato tentativo di riportare le cose come prima. Ma la casa brucia inesorabilmente, uccidendo zio Julian, e lasciandole senza un posto dove andare.

Ormai incapaci di fare una vita diversa, le sorelle Blackwood tornano a vivere nel rudere diroccato, iniziando una vita di ordinaria follia.

Merricat, disse Connie, tè e biscotti: presto, vieni.

Fossi matta, sorellina, se ci vengo m’avveleni.

Merricat, disse Connie, non è ora di dormire?

In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire!

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